61 tronchi per John…….

Se è vero che in architettura il minimal può emozionare, questo progetto del Londinese  John Pawson ne è la conferma. Commissionato dalla Fondazione Siegfried e Elfriede Denzel, sito nei pressi di Unterliezheim “Baviera” è collocato lungo una pista ciclabile ed ha lo scopo di accogliere i “Pellegrini” delle due ruote. Una cappella realizzata con 61 tronchi di abete Douglas forniti a Jhon dalla Danese “Dinesen” società con la quale collabora da oltre due decenni. Osservando i dettagli di questo spazio è evidente che il riposo che può offrire ai ciclisti è più emotivo spirituale che non atto al confort, ma entriamo nei dettagli……

John ha previsto 61 tronchi lunghi oltre otto metri, semplicemente sfaccettati per garantire una solida catasta come se fossero ai bordi del bosco a stagionare. Osservando le testate, la catasta sembra essere compatta ed invece al suo interno uno spazio stretto e altissimo fornisce riparo ai visitatori che possono “godere” di una panca in cemento in blocco unico con la piattaforma sulla quale la pila è posata. Proprio come le tecniche di stagionatura, verso il colmo alcune aperture garantiscono il ricircolo del’ aria ed evitano lo stagnare del’ umidità. Una finestra intagliata nei tronchi regala una vista sulla vallata offendo un senso di mimetismo perfetto, mentre una sottile croce in vetro giallo opera di Franz Mayer di Monaco, lascia spazio alla spiritualità personale senza collegamenti particolari. Con foto di Eckhart Matthäus e il contributo degli associati di John Pawson Design team: Jan Hobel, Eleni Koryzi e Max Gleeson, la cappella non prevede orari di apertura e sarà una buona scusa per visitare la Baviera “rigorosamente in bicicletta”…………

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Foto di; Eckhart Matthäus   www.em-foto.de

 

 

LIVE AID……….L’ evento

Ricordo tutto come se fosse passata solo qualche settimana, avevo da poco finito l’esame di maturità ed ero in attesa di sapere dove mi avrebbero spedito a fare il militare, è un primo pomeriggio di un afoso giorno di luglio, accendo il televisore e su RAI1 vedo che stanno suonando, c’è un concerto dal vivo, sono gli Status Quo, riconosco anche la venue… siamo a Wembley! Sempre più incuriosito cerco qualche informazione chiamando alcuni miei amici (siamo lontani dai tempi di internet…), ebbene sembra che due personaggi di spicco del pop rock anni 80, Bob Geldolf dei Boomtown Rats e Midge Ure degli Ultravox, abbiano organizzato questa mega kermesse musicale a scopo benefico, “Feed the World” dice il manifesto, si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per le popolazioni povere del centro Africa, figlio – e degna conclusione – dei progetti “Band Aid” e “ USA for Africa”.

E fu così che il 13 luglio 1985 mi ritrovai quasi per caso ad assistere a quello che sarebbe diventato uno degli eventi musicali più importanti del ventesimo secolo: il Live Aid! Figlio dei grandi raduni di fine anni 60 (Woodstock, Isola di Wight, Monterrey…) bruscamente interrotti all’alba della disfatta di Altamont (per i più “distratti”: durante il concerto degli Stones gli Hells Angels, incautamente assoldati come Security dell’evento, accoltellarono a morte uno spettatore e si resero responsabili di altri eccessi), magistralmente organizzato – con 2 palchi a Londra e Philadelphia, decine di artisti tra i più rappresentativi dell’epoca (pochi mancarono l’appuntamento), una diretta televisiva che iniziò alle 12 ora di Londra (13 per noi) e si concluse quando, alle 22 ora di Philadelphia (le 4 di notte del giorno dopo per noi) Bob Dylan, Ron Wood e Keith Richards salutarono tutti con un leggendario mini set acustico – il Live Aid finì per diventare di gran lunga l’evento musicale più importante a cui il sottoscritto – purtroppo non direttamente – ha assistito, considerando che difficilmente, dato il declino musicale a cui abbiamo assistito dalla metà dei ’90 ad oggi, qualcosa di così magico potrà mai essere replicato.

Un veloce passaparola ed ecco che, assieme agli amici più cari dell’epoca, ci ritroviamo a condividere questo rito: assistiamo alle esibizioni di David Bowie (pazzesco…), U2, Eric Clapton, Sting, Tina Turner, Dire Straits, Queen (esibizione leggendaria, sancì la loro rinascita dopo alcuni anni difficili), Simple Minds, Elton John, Tom Petty, Black Sabbath, Bryan Adams, The Who (mostruosi, forse la miglior esibizione della giornata…) Elvis Costello, Ultravox, Phil Collins (che suona prima a Londra poi a Philadelphia grazie ad un volo appositamente organizzato) Paul Young, Inxs e tanti, tantissimi altri artisti di fama mondiale.

E per noi, che eravamo nati ascoltandoli e consumando i loro dischi e i loro live, vedere alle 2 di notte salire sul palco di Philadelphia i Led Zeppelin fu un’emozione pazzesca, che ricordiamo tutt’ora quando davanti ad una birra ci lasciamo prendere dalle nostalgie del tempo che fu. L’unico rimpianto fu di non averli visti al completo (Bonzo era morto 5 anni prima), Phil Collins e Tony Thompson si dannarono l’anima per rimpiazzarlo a dovere ma – con tutto il bene che voglio a Phil (che adoro) ed al povero Tony – come si suol dire: “in 2 non ne fanno uno”: John Bonham sarà per sempre il più grande, unico ed insostituibile.

È davvero difficile per me tentare di spiegare le emozioni che provammo quel giorno, era tutto “giusto”: giusto il periodo storico, giusta l’età che avevamo, e immediata fu la consapevolezza di aver assistito ad un qualcosa di magico ed irripetibile, che ci cambiò, ci migliorò, e personalmente mi diede la consapevolezza che la strada che avevo intrapreso, il fatto di vivere di musica e per la musica, fosse quella giusta.

Scrivo queste due righe per il blog dell’amico Biagio, il Bear’s Garage, perché aldilà dell’amicizia che ci lega, conoscendolo e sapendo che anche lui vive di emozioni e di passioni, posso essere certo di aver affidato nelle giuste mani questo piccolo tesoro che da sempre custodisco gelosamente nel cassetto dei miei ricordi.

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Foto da; www.google.com