Speed Demon contro “tutti”…..

Si è conclusa la settimana più veloce del 2019 sulla salina del Bonneville, causa le piogge dei primi giorni della speed week gli organizzatori hanno spostato le piste ogni notte in cerca di tracciati veloci e sicuri superando la prova in modo eccellente confermando l’ efficienza della S.C.T.A Nonostante le condizioni difficili l’ evento si è concluso e anche per questo 2019 abbiamo Piloti veloci che continuano a frantumare world records e personali.

Presente al via anche “Speed Demon “715” uno streamliner dorato e veloce noto alla salina di Bonneville, guidato dal velocissimo George Poteet. Sicuramente Pilota di grande esperienza conosce molto bene le insidie del sale e giovedì mattina nonostante pozze d’ acqua e croste instabili, si è “lanciato” con lo Speed Demon raggiungendo la velocità record di 369,533 mph per noi “591,252 Km/h” ripetendo per l’ ottava volta questo primato. Dal 1949 la rivista Hot Rod assegna al pilota più veloce della Speed Week il trofeo “Hot Rod Magazine Trophy” che Poteet ha condiviso con i Membri del suo team che si sono confermati eccezionalmente competenti ed efficienti.

Poteet si è congratulato con il presidente Mr. Bill Lattin e tutti i membri della S.C.T.A. per il grande lavoro e gli sforzi fatti per garantire lo svolgimento della Speed Week 2019 e torna nella sua Memphis con una nuova storia da raccontare perché……….

……….. Ci sono luoghi dove i sogni diventano Realtà.

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Foto da; Google.com

 

 

Volpe del deserto.…..

Il suo nome ricorda imprese belliche nel deserto Africano ma per questa Triumph la sabbia è quella della California, siamo a Santa Paula dove il maestro di classiche inglesi Mr. Hayden Roberts lavora nella sua officina la “Hello Engine”. Questo progetto ronzava nella mente di Roberts da qualche anno ma prevedeva rigorosamente l’utilizzo di componenti d’ annata e nessuna produzione moderna after market ed ora che tutti i tasselli erano disponibili Roberts si è chiuso in officina e quello che possiamo ammirare parla anni “50 e “60.

Presentata allo show Born Free 2019, questa “Volpe” è assemblata attorno ad un telaio Triumph TR6 del 1964 al quale Roberts ha portato qualche modifica che chiamerei “Desert Race” ovvero quelle modifiche che i piloti facevano per rinforzare e trovare una guida più agevole sui terreni accidentati dei deserti Californiani. Estese al forcellone, le modifiche di rinforzo si estendono anche agli ammortizzatori serie Girlings verde più robusti e lunghi degli originali, che assieme alle forcelle dalla forma anni 50 ma con accorgimenti “modded”, molle e boccole nuove hanno lo scopo di avere una guida più precisa nei lunghi traversi.

Questa ciclistica porta a terra la bella “Volpe” tramite due ruote prese in “prestito” da una BSA Goldstar del “60, scelta legata al fatto che la casa di Birmingham disponeva di ruote molto robuste rispetto alla concorrenza. Con pneumatici rari quanto la moto, un anteriore Avon Trials da 19 pollici si abbina al posteriore Avon Gripster da 18” che mostra tutta la forza nei minacciosi tacchetti, pronti per mordere la sabbia del deserto. Siamo arrivati al cuore della “Volpe” e la questione si fa seria, anno 1965, cilindrata 650 cc serie TR65, motore che di fatto in questa configurazione non è mai esistito. Roberts assembla il motore tagliando testate e saldando pezzi diversi senza perdere di vista la scelta dei componenti d’ annata che viene confermata della presenza di un magnete Lucas.

Sicuramente impresa non facile ma maledettamente affascinante quella di osare tanto, poco utilizzati anche per la difficoltà tecnica, il magnete Lucas prende posto nel motore con intento di starci per altri 50 anni perché come dice Roberts………. “Se funzionavano benissimo nei bombardieri lo faranno anche sulla motocicletta”. Le valvole Webco e i pistoni forgiati 10:1 si danno da fare e tramite i comandi Stelling e Camco la “Volpe” fa sentire la sua voce dagli scarichi liberi e sovrapposti Bud Ekins dei primi anni ’60. Con altri dettagli che potete scoprire nelle belle foto di Mr. Jesse Carmody,  la “Volpe” è prona per farsi ammirare e correre con quella patina old style che non si può riprodurre se non utilizzando pezzi autentici e affascinanti ….. proprio come la Volpe del deserto di Roberts.

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Foto di; Jesse Carmody http://jessecarmody.com/

Foto da; http://www.bikeexif.com

 

 

L’importanza della Radio…..

Parliamo di musica alla Radio, parliamo di quando ero bambino nella seconda metà degli anni ’70, allora la televisione ovviamente c’era già, ma i canali erano pochi ed i programmi musicali erano rari. A casa mia di stereo e dischi non se ne parlava ancora, i miei avevano qualche 45 giri che si ascoltavano col “mangiadischi”, così, per ascoltare musica nuova c’era la Radio, per la precisione la “Hit Parade” di Elio Luttazzi (allora la RAI aveva ancora il monopolio assoluto…), che trasmetteva la domenica mattina prima dell’ora di pranzo.

Così ho avuto la mia prima infarinatura musicale: si passava da Bob Dylan a Bob Marley, dagli Abba a Lucio Battisti, da Lucio Dalla ai Beatles (mica male…). Poi, già adolescente ed entrato in possesso del mio primo impianto Hi-Fi, ascoltavo con avidità le Radio libere della zona tra cui Punto Radio di Zocca, Radio City Sound e Radio Lady, Radio fatte in casa – ed intendo proprio a casa nostra, San Giovanni in Persiceto –  grazie alla tenacia di un gruppo di giovani spinti dalla passione per la musica proprio come l’avevo io che in quegli anni cominciavo a suonare la batteria e spendevo già milioni di lire in dischi.

Ma le cose, già agli inizi degli anni ’80, stavano velocemente cambiando, il moltiplicarsi di emittenti televisive private e soprattutto l’avvento di MTV e dei videoclip avrebbe ridotto l’ascolto della radio ad un affare per pochi nostalgici irriducibili, convinti, come me, che relegare una canzone a semplice colonna sonora di un corto cinematografico (perché in sostanza di questo si tratta…) fosse un delitto. Ma signori miei, vogliamo mettere il fascino di ascoltare una canzone, magari viaggiando su una strada un po’ monotona o a casa mentre svolgiamo attività quotidiane ripetitive, e volare con la fantasia creandoselo ognuno nella sua testa il proprio personale videoclip? Questa è l’essenza, la vera importanza della Radio!

Poi, con la fine degli anni ’80, la situazione – se possibile –  si è evoluta in peggio, stava cambiando il modo di fruire e reperire la musica, i vari supporti digitali stavano prendendo sempre più piede rendendo ancora di più la Radio uno strumento obsoleto.

Ma noi sappiamo benissimo che non è così, che la Radio è lo strumento principe grazie a cui la musica è stata sdoganata e resa accessibile a tutti, bastava avere questo apparecchio a volte grande solo come un pacchetto di sigarette e la magia era compiuta, ed io rimpiango i vecchi tempi quando muovevo la rotella della mia radiolina scassata e vedevo l’asticella rossa muoversi, e sentivo il gracchiare analogico dello strumento che tentava di acchiappare nell’etere onde radio sufficientemente potenti da trasmettere suoni, voci ed un’infinità di emozioni. E se questo vuol dire essere “vintage”, beh, sono orgoglioso di esserlo, così come sono orgoglioso di esserci stato negli anni – gli ultimi, per la verità –  in cui la Radio era la vera, sola ed unica Regina.

Beps 1966

Foto da; www.tumblr.com

 

Da Radio-Bivacco “7

Stasera intorno al mio fuoco immaginario c’è seduto un signore d’altri tempi; è un tedesco alto e grosso, imponente nonostante l’età, mascella d’acciaio e nasone da buono. Il suo nome è Herbert Schek. Se possedete una BMW “2 valvole”, soprattutto se  appartiene alla famiglia delle Gelande Strasse, e non conoscete questo nome, beh… vendetela! Herbert Schek è un uomo al quale noi appassionati di vecchi boxer da sterro dobbiamo molto; questo signore infatti ha contribuito in modo determinante allo sviluppo delle BMW da fuori strada, specie quelle che hanno corso la Paris Dakar nei primi anni.

Herbert Schek è nato il 30 dicembre 1932 a Wangen im Allgäu  dove iniziò col padre a riparare motociclette prebelliche. Nel 1952 iniziò a gareggiare nella “Geländefahrt”, la nostra “Regolarità” e nel 1962 divenne campione tedesco per la prima volta, ripetendosi per ben 13 volte. Schek gareggiò molto e in varie categorie tra cui le sei giorni a squadre; nel 1966 divenne  pilota ufficiale BMW che con i suoi motori boxer dominava le competizioni nazionali ma subiva le inglesi in ambito internazionale, che grazie al loro peso contenuto davano molto filo da torcere.

Schek sollevò il problema ai tecnici BMW. Erano d’accordo, le loro moto si aggiravano intorno ai 200 kg, ma proposero a lui di trovare delle soluzioni tecniche adeguate. Nell’inverno del 1970, Herbert Schek iniziò a lavorare sulla sua BMW, palesando le sue grandi doti di preparatore: alla fine del trattamento la “boxerona” pesava solo 130 kg e Schek vinse l’ISDE sull’isola di Man.  Negli anni seguenti, le due tempi iniziarono a dominare nella classe “sopra 500 cc” al loro rapporto peso/potenza. Schek era già pronto alla sfida con i suoi BMW boxer da 800 cc. preparati, ma il dipartimento di sviluppo di BMW optò per fare da se, incaricando l’ingegnere Laszlo Peres alla guida di un gruppo di lavoro che sviluppò la BMW GS 800 .

Herbert Schek tuttavia ricevette i permessi e i pezzi per costruire le sue moto, così creò dieci “Schek-BMW GS 800”;  senza volerlo, era diventato un produttore di motociclette. Costruì diciassette motocicli con il proprio marchio che, grazie agli aggiornamenti ciclistici del caso, bielle in magnesio, pistoni in titanio e altre diavolerie, potevano contare su circa 70 CV. All’inizio degli anni 80 i nuovi regolamenti della “Regolarità” vedevano fuori dai giochi le mastodontiche BMW ma la Paris Dakar era in pieno boom, quindi Herbert Schek venne coinvolto nello sviluppo di un mezzo adeguato a quel tipo di competizione. Il tedescone si impegna a modo suo (cioè in grande) e prepara una moto che userà in prima persona nell’edizione del 1981, dove subisce un grave incidente che lo costringerà al ritiro. Nell’estate del 1982  Hubert Auriol gli chiese di costruire una nuova BMW per la stagione 1983 dato che nel 1982 le BMW ufficiali ebbero vari problemi con il cambio.  Così nel 1983  Herbert Schek tornò a correre la Dakar in sella ad una BMW  preparata da lui e che portò  Auriol a vincere quell’edizione.

Il 1984 fu un anno d’oro, la BMW vinse con Gaston Rahier grazie anche alle moto preparate da Schek, che dimostrò ancora una volta il suo grande talento di pilota vincendo la classe “Marathon”. Herbert Schek ha partecipato 15 volte alla Paris Dakar, anche assieme a sua figlia Patricia…il DNA non è un’opinione! E se oggi ve lo immaginate come un simpatico nonnetto seduto in poltrona a raccontare  dei bei vecchi tempi vi sbagliate di grosso: Herr Schek, 87 anni, pochi giorni fa è arrivato in furgone dalla Germania per partecipare con la sua Schek-BMW alla “Valli Bresciane Audax” … Eisenmann!

Buona strada,  dovunque stiate andando.

Rad Sherpa

Foto dal web; Archivio Herbert Schek